Le piante cosa pensano di noi?
Una branca di scienza che non ha difficoltà a parlare di comportamento, apprendimento, memoria, coscienza, dolore, riferendosi al mondo delle piante. E così non stupitevi se da qualche parte comincerete a leggere che le piante preferiscono la musica classica invece che il rock, che il Filodendro di casa vostra è un tipo sensibile, o la Dracena dell’ufficio si emoziona quando “sente” che state per arrivare.
Il punto di scontro del mondo scientifico verte sul fatto che queste facoltà non possono esistere senza un cervello. Ma in un mondo sempre più razionale e materiale, l’anelito al metafisico e all’umanesimo spinto, talvolta non può che essere apprezzato. In un interessantissimo articolo pubblicato sul New Yorker a dicembre scorso e riproposto dall’autore Micheal Pollan su Internazionale (14 marzo, n.1042), viene fuori quanto il dibattito degli studiosi sia acceso.
La storia inizia nel 1973 con la pubblicazione del libro “La Vita segreta delle Piante”. Il testo di Peter Tompkins e Christopher Bird (Il Saggiatore 2009) era un’afascinante miscela di studi scientiici, esperimenti un po’ improvvisati e venerazione mistica per la natura che catturò la fantasia dei lettori in un’epoca in cui cominciava a difondersi la cultura new age. Le pagine più memorabili sono quelle che descrivono gli esperimenti di un ex tecnico delle macchine della verità della Cia, Cleve Backster, che -nel 1966- aveva avuto la bizzarra idea di collegare un galvanometro (uno strumento che misura le correnti elettriche) a una foglia di dracena, la pianta che aveva nel suo studio. Con sua grande sorpresa, aveva scoperto che gli bastava immaginare che la dracena prendesse fuoco perché l’ago del poligrafo salisse, registrando un aumento dell’attività elettrica che indicava una condizione di stress. Era possibile che la pianta gli leggesse nel pensiero? Il problema tocca la linea di confine tra il regno animale e quello vegetale.
Vita che scorre tra cielo e terra. Così il grande pensatore C.G.Jung definiva il “senso dell’albero” che non risiede “ne nelle radici, né nell’alta chioma” ma appunto quel misterioso flusso vitale che circola in egual misura nel ventre del pianeta e al disopra, nel micro come nel macrocosmo. Quel maestro di psichiatria e antropologia moderna sembra aver colto le ragioni essenziali del nostro attaccamento al mondo vegetale, la nostra sorprendente affinità con le piante, questi esseri viventi sospesi come noi tra terra e cielo, con i piedi saldi al suolo e la testa nelle nuvole.
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