Parliamo in particolare in quella specie di casette di legno o altro materiale prima destinati a deporre i vari attrezzi (si possono notare in vendita nella grande distribuzione del bricolage), accatastare materiale, ma anche stipare ricordi. Shed in inglese vuol dire proprio “capanna”, “baracca” e nel senso dato al termine di cui parliamo “casotto”.
IL CASOTTO DEL BUEN RETIRO In questo uso alternativo del capanno esterno – o nella costruzione di un ambiente altro – c’è l’idea del ritiro, di uno spazio privato che sia “fuori” dall’abitazione: ma si tratta di un’appendice diversa da gazebo, cantine o garage. Fu il giornalista inglese Alex Johnson a parlare la prima volta dell’argomento nel 2010 con il un libro, “Shedworking: The Alternative Workplace Revolution”, includendo esperienze provenienti da tutto il mondo, e ammettendo che in alcuni Paesi l’idea del capanno in legno e vetro fatica a far presa per ragioni climatiche più che di costume (nei paesi più caldi si tende forse naturalmente a proteggersi dal sole entro strutture in muratura).
UK, 2 SUE 5 LAVORANO IN VERDE L’esperienza e lo studio di Johnson erano nate da una necessità personale, quando nel 2003 aveva avuto bisogno di uno spazio extra dove lavorare; e se prendere un’abitazione più grande gli sarebbe costato troppo, per allestire un ufficio in giardino bastarono poco più di diecimila sterline. L’Inghilterra d’altronde è costellata di questo tipo di esperienze, che a differenza di un tempo non attirano solo gli artisti e bohemien perché la pratica del piccolo ritiro esterno è vecchia, vero, ma le nuove tecnologie hanno cambiato il contesto di riferimento. Johnson è anche l’autore di un popolare blog dedicato al tema aperto nel 2006 e un paio d’anni fa ha stimato che il business del “lavoro in giardino” contribuisse per 6,1 miliardi di sterline all’economia del Paese di Buckingham Palace: con oltre 80mila persone piazzate negli sheds o comunque in fabbricati annessi a case private.
Se volete saperne di più visitate il sito di Alex Johnson
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